I tratti della personalità che possono ostacolare la vostra carriera

    Redazione Meta

    Controllate il vostro comportamento

    Molto spesso, la sfida più grande che ognuno deve affrontare è con se stesso. Ci sono tratti della personalità che limitano il nostro potenziale, che ci impediscono di dare il 100% e che contribuiscono a creare situazioni di forte stress.

    Quali sono quindi i tratti della personalità da cui non dobbiamo lasciarsi sopraffare?

    • Scetticismo: le persone scettiche tendono ad essere anche distruttive, ciniche, eccessivamente critiche, negative e distanziano chi invece è cauto, emotivo, tranquillo e riservato. Diventa difficile lavorare o collaborare con persone scettiche, con il rischio di ottenere scarse performance. Per questo motivo, chi ha accentuato questo aspetto della personalità, deve migliorare le proprie capacità di lavoro di squadra, cercando di mostrare entusiasmo e positività;
    • Eccessiva espressività: chi ha una personalità colorita, tende ad essere drammatico, ricerca continuamente attenzioni, domina le conversazioni prestando scarsa attenzione all’ascolto degli altri. Per essere accettati dal team e imparare a collaborare, è necessario che queste persone lascino spazio agli altri membri della squadra. A volte è necessario spostarsi dal palco alla platea, prediligendo l’ascolto e il confronto alla necessità di avere ragione;
    •  Remissione: le persone remissive cercano di stare sempre in disparte, non mostrano il proprio disaccordo evitando così il conflitto e rifiutano di lavorare in maniera indipendente, assumendosi delle responsabilità. Sono spesso ansiose, incapaci di prendere una posizione e quindi diventano irrilevanti all’interno di un team. Per la buona riuscita del lavoro di squadra, bisogna mettere da parte la paura di entrare in conflitto. Concentratevi su come accrescere il valore delle performances, dando il vostro contributo.

    Con auto-consapevolezza e moderazione, è possibile temperare il proprio comportamento.

    Per un approfondimento: Harvard Business Review